martedì 15 dicembre 2009

LE NOSTRE FIABE: LA PRODUZIONE

LEO L'AVVENTURIERO

C'era una volta un ragazzo sempre in cerca di avventure, il suo nome era Leo.
Egli viveva nella Terra del Sole, una delle quattro Terre del Potere; le altre tre erano la Terra della Notte, della Sabbia e del Ghiaccio.
Quella in cui viveva era la più calda, ma la meno abitata.
Un giorno giunse un messaggio a casa sua: la Principessa Francesca era stata rapita, e, chi l'avrebbe salvata, avrebbe ricevuto una grande ricompensa.
Leo si procurò mille denari, qualche abito, del cibo e partì per il suo viaggio.
Ciò che non sapeva è che quello sarebbe stato il suo peggior nemico, lo osservava ed era pronto ad ostacolarlo in ogni modo. Il suo nome era Gerry.
Leo, fin ora, aveva percorso il sentiero senza problemi, ma all' improvviso si ritrovò davanti a lui due vie.
Mago Renato per aiutarlo, si mise in contatto con lui e gli suggerì la via giusta.
Il problema era che doveva attraversare tutte le Terre.
Gerry, continuava ad osservarlo e mandò in ognuna delle Terre un suo aiutante.
In quella del Sole un piromane professionista, in quella della Notte una fenice distruttrice, in quella della Sabbia uno squalo gigante e in quella del Ghiaccio un pinguino carnivoro.
Mago Renato, per aiutare Leo, mandò nelle Terre dei suoi aiutanti per sostenere e aiutare Leo.
In quella del Sole mandò un meteorite dorato, in quella della Notte una stella alata, in quella della Sabbia un'onda anomala e in quella della del Ghiaccio uno specchio magico.
Gerry, furioso, gli rubò tutti i soldi e lo ferì a una gamba.
Leo, grazie al generoso aiuto del Mago, riuscì a proseguire il suo viaggio e in un batter d' occhio raggiunse il confine della sua Terra del Sole, dove il piromane professionista lo aggredì, ma Leo fu pronto a sfuggire a questo attacco facendo brillare l' accecante luce del meteorite dorato sul corpo del piromane uccidendolo.
Ripartì subito. Ci mise un'ora per raggiungere la terra della Notte dove la fenice distruttrice scagliò contro di lui diversi fulmini, anche questa volta fu rapido a difendersi buttando polvere d'ali di stella che ridussero la fenice a un semplice fiore. Leo era stanchissimo e allora decise di fermarsi. La sua fu una pausa breve, si rimise subito in viaggio, ma in seguito alla stanchezza ci mise un giorno per arrivare nella Terra della Sabbia, arrivato, decise di fermarsi, ma non gli fu possibile perché lo squalo gigante lo aggredì, allora iniziò a lottare contro quest' ultimo grazie alla supremazia sull'onda anomala, così sconfisse lo squalo travolgendolo.
Ora c'era l'ultima prova da superare, la più difficile, quella della Terra de Ghiaccio.
Lì lo aspettavo un pinguino carnivoro pronto a divorarlo.
Leo prese in anticipo lo specchio magico, non appena si specchio, lo specchio sparì.
Egli iniziò a volare, e a combattere con il pinguino carnivoro e lo fulmino con i suoi occhi da cui fece uscire dei raggi laser.
Gerry, allora, uscì dalla Torre Ghiacciata dove teneva prigioniera la Principessa Francesca, e iniziò a combattere con Leo, aiutato da Mago Renato.
Leo era spacciato, e Mago Renato si sacrificò per lui. Leo, accecato dalla rabbia, ridusse in cenere Gerry e salvò la Principessa.
Leo portò al Re la Principessa e, dopo aver raccontato come si erano svolte le cose, il Re lo premiò con la meritata ricompensa, gli diede sua figlia in sposa e ridiede la vita a Mago Renato.
Da quel giorno vissero tutti felici e contenti tra la pace mondiale ormai raggiunta.
MICHELE NUNZIATA

martedì 1 dicembre 2009

CAPPUCCETTO ROSSO SECONDO NOI

FIABA A FUMETTI


























ANTIFIABA



CAPPUCCETTO ROSSO

"AL CONTRARIO"














































CENERENTOLA "AL CONTRARIO"











Ilaria de Biase

mercoledì 25 novembre 2009

ANTICHE FIABE DELL'EUROPA DEL NORD








ANTICA FIABA RUSSA




Una matrigna aveva una figliastra e una figlia. Qualsiasi cosa facesse la figlia, la accarezzavano sulla testa e dicevano: "Che intelligente!". La figliastra, qualsiasi cosa buona facesse, non andava mai bene, non doveva fare così, era tutto brutto. E invece bisogna dirlo: la ragazza era oro, aveva le mani come il formaggio nel burro. Ma la madre ogni giorno si bagnava di lacrime. Il vento prima soffia, poi tace. Ma la vecchia baba prima s'infuria, però non si calma subito, pensa sempre a qualche dispetto, così la donna pensò di cacciare la figliastra da casa e costrinse il padre a portarla via: "Portala, portala, vecchio, dove vuoi, purché i miei occhi non la vedano, e le mie orecchie non sentano più parlare di lei; ma non portarla dai parenti, in una casa calda, ma portala nel campo, nel gelo scricchiolante!". Il vecchio si rattristò, per un poco, e pianse, poi mise la ragazza sulla slitta, voleva coprirla con una coperta, ma ebbe paura. Portò la sventurata senza casa in un campo aperto, la scaricò su un cumulo di neve, le fece il segno della croce, e in fretta tornò a casa, per non assistere alla morte della figlia.
La poverina rimase sola, tremando e e disse una muta preghiera. Arrivò il Gelo; iniziò a saltellare e saltellando osservò la bella ragazza: "Ragazza, ragazza! Io sono Gelo Naso-rosso!". "Salute a te, Gelo. Si capisce che Dio ti ha mandato per la mia anima peccatrice." Gelo voleva colpirla e assiderarla; ma ammirò le sue parole, provò compassione! Le buttò una pelliccia. Lei l'indossò, si strofinò i piedi, si mise a sedere. Venne di nuovo Gelo Naso-rosso, saltellò, ballò, guardò la bella ragazza: "Ragazza, ragazza, io sono Gelo Naso-rosso!" "Salute a te, Gelo. Si capisce che Dio ti ha mandato per la mia anima peccatrice." Gelo sembrò non essere proprio in sé: portò alla bella ragazza un grande baule, pieno di ogni sorta di regali. Lei si sedette, nella sua pelliccia, sul baule, così allegra, così bellina! Arrivò per la terza volta di nuovo Nonno Gelo Naso-rosso, saltellò, ballò, guardò la bella ragazza. Lei lo accolse con un saluto, e lui le regalò un vestito cucito d'oro e d'argento. Lei lo indossò e fu una vera bellezza, una vera eleganza! Sedette di nuovo sul baule e iniziò a cantare.
La matrigna prepara intanto la veglia funebre per lei, cuoce le frittelle. "Và, vecchio, porta a seppellire la tua figlia." Il vecchio se ne andò. E il cane sotto il tavolo: "Bau, Bau! Adesso portano la figlia del vecchio tutta vestita d'oro e d'argento, ma la figlia della vecchia i fidanzati non la prenderannno!". "Taci, stupido cane. Eccoti una frittella, e dì: «I fidanzati prenderanno la figlia della vecchia, e della figlia del vecchio porteranno solo gli ossicini!» Il cane si mangiò la frittella, ma disse di nuovo: "Bau, bau, bau. Portano la figlia del vecchio tutta vestita d'oro e d'argento, ma la figlia della vecchia i fidanzati non la prenderanno!" La vecchia diede al cane le frittelle e lo picchiava, ma lui, sempre: "Portano la figlia del vecchio tutta vestita d'oro e d'argento, ma i fidanzati non prenderanno la figlia della vecchia!".
Il portone scricchiolò, si aprì la porta della capanna, degli uomini portarono un alto e pesante baule, dietro cui entrò la figliastra, tutta risplendente come una vera signora! La matrigna la guardò e allarga le braccia! "Vecchio, vecchio, attacca altri cavalli, e porta presto mia figlia! Mettila nello stesso campo, nello stesso posto!" Il vecchio portò la figliastra nello stesso campo, nello stesso posto, e depose la ragazza. Arrivò Nonno Gelo Naso-rosso, guardò la sua ospite, saltellò e ballò, ma buone parole non le ebbe. Allora si arrabbiò, l'afferrò e la uccise. "Vecchio, và, portami la mia ragazza, attacca cavalli selvatici, non far affondare la slitta, non perdere il baule!" E il cane, sotto il tavolo:"Bau, bau! I fidanzati prenderanno la figlia del vecchio, ma porteranno in un sacco gli ossicini della figlia della vecchia!" "Non mentire! Eccoti una torta. Di’: «porteranno la figlia della vecchia vestita d'oro e d'argento!» Si aprì il portone, la vecchia corse incontro alla figlia, ma invece di lei abbracciò un corpo freddo. Pianse, gridò, ma ormai era troppo tardi.







FIABA TRADIZIONALE NORDICA








FIOCCO DI NEVE








In un piccolo villaggio viveva una coppia di sposi, Ivan e Maria, che desiderava un figlio più di ogni altra cosa. Un giorno, approfittando di una copiosa nevicata, pensarono di dare corpo ai loro sogni modellando un pupazzo di neve a forma di bimba.
Ivan le fece occhi, capelli e una bocca perfetta da bambola di porcellana. Ad un tratto, sentì sulla sua mano un respiro, e vide quella bocca ridere.
Il pupazzo si scrollò la neve di dosso e si rivelò una bella bambina in carne ed ossa, con occhi chiari come una fonte di acqua pura, capelli d'oro e pelle che sembrava vetro da quant'era trasparente.
Dopo lo sconcerto iniziale, i due accolsero a braccia aperte la bambina e la chiamarono Fiocco di Neve. Lei li ricambiava con affetto ed era benvoluta da tutti, perché sempre sorridente e di buon umore.

Passò il lungo inverno, venne la tiepida primavera e qualcosa in Fiocco di Neve mutò. Non era più la bimba allegra dei mesi precedenti: sempre triste, guardava malinconica dalla finestra e non voleva mai uscire. Solo quando pioveva o grandinava tornava felice.
E venne giugno, e con giugno la festa di mezz'estate, in cui nei villaggi si accende il grande fuoco per celebrare la nuova stagione. Tutti i bambini invitarono Fiocco di Neve a danzare intorno al fuoco; lei dapprima non voleva, ma poi, vedendo che ci tenevano così tanto, acconsentì per farli felici.
Ogni cosa era perfetta: i canti, le danze, la gente in festa... finché i bambini che tenevano per mano Fiocco di Neve sentirono un sospiro, e quando si voltarono videro che la loro amica non c'era più. Al suo posto, una pozza d'acqua trasparente. Fiocco di Neve, la fanciulla di ghiaccio, si era sciolta al calore del fuoco.
Agli abitanti del villaggio rimase per sempre il suo ricordo, come quello di un sogno bellissimo, ma di breve durata.






VINCENZO FICARELLI

martedì 24 novembre 2009

FAVOLINA








FAVOLINA


C’era una volta, a Foggia, una ragazza che si recava dalla maestra. Era molto bella tanto che il figlio del re, nato a Benevento, non appena la vide, cominciò a seguirla. Un giorno che la fanciulla era intenta ad innaffiare alcune piante di fave, il figlio del re le disse:"Ragazzina, ragazzina che innaffi le fave reali, conta quante foglie ci sono sui rami". La ragazza, nel sentire queste parole, si mise a piangere e riferì alla sua maestra quanto le era accaduto. Questa la consigliò "Quando te lo dice un’altra volta, rispondigli: "Tu che sei figlio di re e di regina conta quante stelle ci sono in cielo" Ma il padre della ragazza, venuto a conoscenza del fatto, ritirò subito la figlia dalla maestra ed il figlio del re, non vedendo più la ragazza, si ammalò. La ragazza, saputo che il figlio del re era infermo, si travesti da morte e si pose a capo del letto del malato. Il principino appena la vide, si spaventò e si mise a urlare: "Morte, non m’ammazzare stanotte, ammazzami domani mattina, affinché io veda la mia bella" La ragazza si fece riconoscere ed esclamò "dovevo assolutamente travestirmi altrimenti mi sarebbe stato impossibile avvicinarti" Il figlio del re guarì e inviò la richiesta di matrimonio al padre della fanciulla che acconsenti al matrimonio dei giovani a Bari.La ragazza però temeva che il marito ricordasse il sotterfugio usato quando si era travestita da morte e che si sarebbe vendicato. Che fece modellò una statua di zucchero e la pose nel letto al posto suo. La ragazza, purtroppo, aveva ragione, infatti, il marito, appena postosi a letto, sguainò la spada e tagliò la testa alla statua di zucchero, e passandosi la lama sulla lingua esclamava: "Oh! come è dolce il sangue della mia sposa, però lei è morta, ed ora devo morire anch’io".La sposa, quando capì che la cosa prendeva una brutta piega, si mostrò al re, gli si inginocchiò di fronte e gli sorrise. Da allora vissero per sempre felici e contenti.
ALESSIO GIANNUARIO

lunedì 23 novembre 2009

MARIELLA



MARIELLA


Foggia,1200. Una ragazza bellissima di nome Agata era innamorata tanto del principe Gigino.



Anche il principe era innamorato di lei ma purtroppo, il loro amore era impossibile perché non c’erano buoni rapporti tra le loro famiglie.



Essi però erano troppo innamorati e decisero di scappare a Benevento dove sarebbero vissuti in pace.



A Foggia regnava il Chaos i due ragazzi erano introvabili e ormai si erano perse le speranze sul loro ritrovamento.



Ma, i due arrivati a Benevento riuscirono subito a trovare un’ abitazione e dopo 1 anno si sposarono ed ebbero una figlia meravigliosa: Mariella.



Mariella sapeva che a lei mancava una cosa che tutti i suoi coetanei avevano: dei nonni, ma lei lo accettava visto che i suoi genitori le avevano detto che i suoi nonni erano morti.



Ma non era così i suoi nonni erano vivi e vegeti. Poi arrivò il giorno terribile l’America,la Germania, la Cina e la Russia giunsero a Benevento radendola al suolo ma lei e i suoi genitori rimasero vivi.



Mariella era ancora spaventata e scappò a Foggia per rifugiarsi e trovare i suoi nonni.



Però, furono i suoi nonni a riconoscere lei grazie alla somiglianza con i suoi genitori.



Mariella allora decise di vivere insieme ai suoi nonni e ai suoi genitori a Foggia.



Riuscirono a vivere in pace per sei anni ma nel giro di due mesi i suoi nonni, Gigino e i suoi genitori morirono e scoppiò una nuova guerra.



Mariella stava per essere uccisa ma Re Alberto fece subito in modo di riuscire a salvarla e se ne innamorò pazzamente. Mariella pensava solo alla terribile perdita subita, ma Re Alberto la consolò e Mariella si convinse a sposarlo e vissero felici e contenti.





IL COMPARE GIUSTO



IL COMPARE GIUSTO
(Fiaba della Daunia)




C’era una volta un contadino che aveva sposato una donna bellissima e stava
per nascere il loro bambino.
Il marito tutte le mattine andava a lavorare nei campi, ma era preoccupato
di
lasciare la moglie da sola in casa. Allora pensò di fare così e disse alla
moglie: “ Se nasce un maschio, appendi un pantaloncino alla finestra, se
nasce
una femmina appendi una vestina alla finestra”.
Una sera, mentre tornava dai campi, vide un pantaloncino appeso alla
finestra
della sua casa e gridò felice: “E’ un maschio!”. Adesso bisogna cercare il
compare giusto che lo battezzi.
L’uomo camminò a lungo ed incontrò un signore che accettò di battezzare il
bambino.
Dopo la cerimonia religiosa, il compare si presentò e disse: “Io sono la
morte”, ed ordinò all’uomo di indossare degli abiti da medico ed andare in
giro
per il mondo a curare la gente.
Poi disse: “Quando entri in una casa per curare il malato, se mi vedi
vicino
al letto, vuol dire che il malato è talmente grave che morirà, se, invece,
io
non ci sono vicino al letto, vuol dire che il malato non è grave e
guarirà”.
L’uomo, con la sua famiglia, si trasferì in un paese lontano dove il re era
molto malato.
Lui chiese di visitarlo e, quando entrò nella camera da letto del re, non
vide la morte vicino al letto del re, quindi, disse che il re sarebbe
presto
guarito. E così fu.
Quando il re si rese conto di essere guarito, lo nominò suo medico
personale
e lo fece vivere, insieme alla sua famiglia, nella sua casa, nel lusso e
nella
ricchezza.
Dopo molti anni, la morte venne a cercarlo e gli disse: "Hai visto che
bel
regalo ti ho fatto? Ora va a confessarti perché domani, a mezzogiorno, devi
venire con me”.
L’uomo si confessò, poi andò dal re e lo salutò, dopo si distese sul suo
letto e a mezzogiorno spirò dolcemente.
E il re pianse e soffrì molto per la morte del suo medico.


GIULIANO ROSELLI

martedì 17 novembre 2009

STORIA DI CECINELLO, FIABA POPOLARE DAUNA














Storia di Cecinello
Una fiaba popolare dauna





C’era una volta una famiglia molto povera formata solamente da moglie e marito, che vivevano in un misero tugurio. I due non avevano figli e, nella loro povertà, ritenevano che ciò non fosse un gran danno, perché avendone li avrebbero condannati ad una vita di stenti simile a quella che loro stessi vivevano. Inoltre non avrebbero saputo in che modo sfamarsi e sfamarli, perciò decisero che se ne avessero avuti li avrebbero uccisi per evitare il dolore e il senso di impotenza nel vederli morire di inedia e di stenti. Un giorno il marito chiese alla moglie di cucinare la poca pasta che era riuscito a mendicare il giorno prima con i ceci che aveva raccolto dopo il mercato sotto una bancarella e uscì a cercare qualcosa da mettere sotto i denti per il giorno dopo e un po’ di legna da ardere per riscaldarsi nella rigida notte che li aspettava. La moglie lo accontentò, mise a cucinare il misero pranzo su un freddo fuoco di paglia e ramoscelli, che stava ben attenta a ravvivare per evitare che si spegnesse, quando, attratta dal fumo che usciva dagli spiragli delle finestre, coperte solo da logore pelli di animali si presentò alla porta una donna anziana vestita da zingara che chiese bruscamente alla donna di avere i ceci che si stavano cucinando sul fuoco: - Donna, io sono più povera di te ed ho bisogno di mangiare, perciò voglio che tu mi dia i ceci che hai cucinato! La povera donna non voleva negarglieli, ma dando un’occhiata alla pentola si rese conto che erano ancora crudi, in quello stato sarebbero stati immangiabili! Così le rispose:- Cara signora, non ti negherò quanto mi chiedi, ma abbi la bontà di attendere ancora un po’ in modo che siano cotti meglio. La zingara montò su tutte le furie e le mandò una terribile maledizione:- Bugiarda! Tu non vuoi darmi nulla, ma stai cercando di prendere tempo perché arrivi tuo marito a scacciarmi di qui! Maledetta sia tu e tutta la tua stirpe maledetta! Ma me la pagherai! Farò ricadere su di te una maledizione terribile: sarai madre, ma ti renderò omicida dei tuoi stessi figli!- e uscendo sbattè la porta di legno decrepito così forte da far cadere il chiavistello e tremare le pareti. La donna intimorita ed impressionata cercò di cacciare la paura precipitandosi a raccogliere il chiavistello ed adoperandosi per rimetterlo sulla porta prima che arrivasse il marito e cercò di dimenticare ciò che aveva detto la zingara. Non appena il suo cuore cessò di battere all’impazzata si ricordò che aveva lasciato sul fuoco, ormai quasi spento, il pentolino con i ceci. Raccolse il pentolino, ma le sembrò stranamente leggero...e il cuore le balzò nel petto! Era vuoto! Eppure era sicura di averlo riempito!!! Quando ecco, dall'angolo più buio della casupola si sentì un lamento....e poi due.....e poi.....un pianto??..dieci, quindici, venti?bambini!!!!!! Il suo cuore si straziò dal dolore: tanti bambini! E ora come avrebbero potuto sopravvivere, con dei genitori così miseri, tutti quei bimbi? Nessuno in paese li avrebbe presi con sé, con la povertà e la carestia che imperversavano i figli propri erano bocche in più da sfamare, figurarsi i figli altrui! Decise che no, non avrebbe mai visto i suoi figli morire di fame e di stenti, avrebbe preferito ucciderli lei stessa con le sue mani prima di vederli morire tra atroci sofferenze! Piano piano, piangendo silenziosamente, con tutta la delicatezza che era possibile ad una madre addolorata li prese uno ad uno e li fece addormentare soffocandoli, poi, nel sonno, perché morissero dolcemente senza rendersi conto che la loro madre stava togliendo loro la vita. In questo strazio la donna non si era resa conto che un dei bimbi, più grandicello degli altri, che riusciva a stento a camminare, per curiosità e senso di avventura aveva raggiunto l’armadio e vi si era rinchiuso dentro, non riuscendo poi ad uscire più di lì, per nulla spaventato, si addormentò. La donna prese poi l’unico lenzuolo sano della casa, vi depose delicatamente i bimbi e, con gli occhi ormai asciutti e gonfi, si incamminò nel bosco con quel fagotto sulle spalle, trovò una radura piena di fiori e vi depose i suoi piccini. Poi tornò, con la morte nel cuore, nella sua casupola, cercando una scusa da dire a suo marito che, tornando affamato avrebbe certamente voluto il suo misero pasto. Nel frattempo il marito era tornato, raggiante di gioia aveva spalancato al porta, poi, non vedendo la moglie corse a cercarla nel bosco, pensando che si fosse allontanata per raccogliere qualche erba amara con arricchire il misero pasto. Doveva comunicarle una notizia grandiosa: andando in città aveva trovato un uomo che imprecava sul ciglio della strada contro il suo pastore, aveva scoperto mentre gli rubava delle pecore, e lo aveva scacciato. -Vai via, ladro truffatore! Che tu possa marcire in galera per il resto dei tuoi giorni, ho già chiamato le guardie perché ti portino via!- Il pastore, che era giovane e forte, era però fuggito e presto era scomparso alla vista di entrambi.- - Povero me,- diceva il padrone- doppiamente derubato: delle mie pecore e del mio pastore! Ora come farò, io sono troppo vecchio per badare ad esse e se non trovo qualcuno si disperderanno!- Il pover’uomo si avvicinò e cercò di consolare il vecchio dicendogli che c'erano tanti uomini onesti che avrebbero lavorato per lui, accontentandosi anche di un tozzo di pane. Il vecchio non se lo fece ripetere due volte e, avendo compreso che si trattava di una persona onesta gli diede l’incarico di portare le pecore alla stalla e quando lo congedò gli consegnò un cesto con del cibo e gli disse di tornare il giorno dopo per iniziare a lavorare. La cercò dovunque in casa, poi, quasi mentre stava per uscire a cercarla la vide apparire sulla porta, con gli occhi gonfi e lo sguardo inespressivo. Alla vista di tale spettacolo disse:- Moglie mia, cosa ti ha turbato in tale modo da ridurti in questo stato pietoso? Proprio oggi che dovresti gioire: guarda, ho trovato un lavoro ed ho avuto già una ricompensa, possiamo sperare in un domani più sereno! A tali parole la povera donna sbiancò ed iniziò ad emettere un lamento lungo e doloroso, come un povero animale ferito, pianse a lungo e ad occhi asciutti, perché le lacrime ormai le aveva tutte consumate. Il marito non comprendeva e si mortificava sempre più alla vista di un dolore così grande e inspiegabile. Alla fine, dopo averla consolata insistette perché la dona gli raccontasse ciò che le era accaduto. La donna con un filo i voce raccontò della zingara e di come era stata costretta a fare ciò che avevano deciso insieme tanto tempo addietro. Anche il marito pianse lacrime amare e maledì il giorno che avevano preso insieme quella sciagurata decisione, compatendo la povera donna per ciò che aveva dovuto fare. Mentre i due poveri coniugi piangevano abbracciati non si erano resi conto che l’anta dell’armadio aveva cominciato a scricchiolare e un leggero scalpiccio di piedini animava la casa. Improvvisamente, ridestatisi dal loro dolore scorsero sul pavimento con sorpresa l’ombra di una testa ricciuta che gli si avvicinava, alzarono gli occhi e stupiti videro un bimbo grassoccio e biondo che barcollava verso di loro tendendo le manine. Il dolore si tramutò per un attimo in stupore e poi in gioia profonda: allora qualcuno dei piccini era sopravvissuto alla strage! Si tesero ad accoglierlo e la donna lo strinse a sé con una gioia indescrivibile: suo figlio... aveva un bambino! Il marito, felice gli diede il nome di “Cecinello” per l’insolita maniera con cui era venuto al mondo E da allora vissero felici e contenti...ma il bambino non toccò un cece in vita sua: gli sembrava di mangiare un suo congiunto!